Mi chiamo Morgana. Sì, come la fata. E anche come il miraggio del deserto. Il nome me l'ha messo appena nata la mia famiglia, quasi all'unanimità. Diciamo che mio papà, aveva più in testa la storia greca e voleva chiamarmi Gorgo, come la moglie di Leonida. Come tutti i piccoli, anche io ho imparato guardando. Ho iniziato a gattonare quasi subito. E la frase è quanto mai pertinente. Per me il papà e la mamma non sono solo quelli che mi nutrono e mi amano. Sono una sorta di capibranco. Più la mamma però. Se la mamma va da qualche parte, io non riesco a mettermela via. Quando ero piccola piccola non potevo uscire, allora con il mio provare a parlare incomprensibile, le avrei voluto fare mille domande, dove andava, con chi era, quando tornava. Quando tornava era la più fondamentale di tutte. Anche papà mi piace, molto con la testa tra le nuvole, però ha anche i piedi ben piantati a terra. Crescendo ho messo su un bel caratterino, molto ribelle.
Ho
cominciato a litigare con i miei coetanei e anche con quelli più grandi
di me. Non sopporto i bulli e i prepotenti. Eppure qualcosa mi avvolge
la notte. Non riesco proprio a farmela passare. Ci sono piccole spille
di paura del buio, non so, non mi spiego. Però ad una certa ora sveglio
papà. Il giorno ci scontriamo spesso. Lui è dispettoso, ogni tanto viene
lì e mi stuzzica, mi fa il solletico e io non lo sopporto, tanto che
rispondo subito male. Ma so che è il suo modo di volermi bene. La notte
se lui non è via per lavoro, preferisco dormirgli accanto. Arrivo e gli
picchetto la spalla e gli chiedo di farmi spazio nel lettone. Poi
appoggio la mia testa sulla sua mano e dormo. E tutto quello che non so
spiegare passa. Come passa tutto quando gioco con mamma, a volte sono io
a provocarla, se la vedo triste la sfruculio e le chiedo di insegnarmi
qualche gioco nuovo. Io mi chiamo Morgana. E ho circa dieci anni. Per
voi umani. Ma per noi gatti è solo un anno e mezzo. Purtroppo la mia
inquietudine e voglia di avventura non è tanto comprensibile in questa
realtà. Il mio papà dice sempre che non è un mondo a misura di cuccioli
e di deboli. E quando lui parla di cuccioli, intende proprio bambini e
bestiole. Perchè dice sempre che il suo papà lo ha educato così, che
chiunque resti indietro o sia bisognoso di protezione, va accudito. Non
importa se sia uomo, animale, o Leocorno. E dice anche che la sofferenza
parte dal basso. In tutti i sensi. Se sappiamo guardare chi non è alla
nostra altezza e sappiamo ascoltare anche laggiù. Sono stata imprudente e
una macchina non si è fermata. Ora non ci sono più e quello che mi
spiace è che so che mamma e papà umani ci staranno un po' male.
Ma
io come faccio a spiegargli che come gatta ho sette vite e che se n'è
andata solo una? Molti penseranno che è ridicolo soffrire così per un
animale. Ma per fortuna a casa mia si è amato e si ama e basta. Senza
chiedere i documenti o l'essenza. Mio papà da un paio di giorni ha in
testa una scena, che gli serve a stare meno male. È il finale del film
"se Dio vuole". Marco Giallini guarda un frutto, pensando ad un amico in
ospedale che ha avuto un brutto incidente e non si sa se vivrà. Il suo
amico gli aveva insegnato che quando arriva il momento le cose accadono.
Non ci si può fare nulla, gli aveva indicato una pera che pendeva
dall'albero. Dicendo che prima o poi sarebbe caduta perchè è giusto che
cada. Giallini è lì che aspetta notizie.
La
pera si stacca dall'albero. E lui sorride e se la fa andare bene così,
poi inizia una bellissima canzone di De Gregori. Cose. Doveva succedere.
Fa un po' male, come tutti i dolori che ci accadono accanto. Fa più
male. Senza distinzioni di uomini animali e Leocorni. Si è fatto tardi,
io vado. Qui sopra ho trovato un signore affettuoso che dice di essere
il papà del mio papà capobranco. Penso che lo seguirò, anche lui parla
bene di uomini e gatti. Divertitevi lì sotto.
C'è qualcuno che bussa e muove la coda.
C'è qualcosa che passa, in questa stanza vuota.